L’alta Langa cuneese ci ha accolto in una splendida mattinata di inizio autunno, una di quelle giornate in cui tutto pare andare per il verso giusto: c’era il sole, c’erano i vigneti venati di giallo e oro, c’era la spensieratezza di un weekend in cui non avevamo pensato di lavorare, ma solo di passare a trovare alcuni amici fermandoci qua e là, a sentimento. Non ero mai stata nelle Langhe, e infatti portavo la Panda a passo d’uomo per assaporare a pieno la suggestione del paesaggio che scorreva fuori dal finestrino, tra ampie fasce di vegetazione e altrettanto ampi pendii interamente coperti di vigneti prima, e di noccioleti poi. Era uno luogo che mi risultava alieno: alto, dalle strade ripide e dai paesaggi ampissimi, eppure al tempo stesso morbido, agreste. Qua e là sbucavano borghi, torri, campanili.
Era montagna e campagna insieme, e più ci spostavamo verso l’alta Langa, sul confine con la Liguria, più l’ambiente si faceva rurale: i vigneti intruppati avevano ceduto definitivamente il passo a piccoli vitigni familiari attorno a massicci casali, s’erano allargate le macchie di bosco e pascoli, le strade si erano fatte più strette, era aumentata la possibilità di incrociare trattori e l’ambiente mi risultava più comodo, meno fighetto, meno abituato a sentirsi pubblicizzare. Piccoli cartelli sbilenchi indicavano stradine sconnesse, fattorie, borgate agricole nascoste.
Paese d’alta Langa e di campi coltivati
Cristina Cappellano l’abbiamo conosciuta per caso, come spesso capita quando si parla di storie interessanti. Ci eravamo appena fermati a Murazzano, splendido paese definito “scudo e chiave del Piemonte” in virtù della sua posizione strategica dominante sulle Langhe, ma anche il paese di Beppe Fenoglio, che qui vi trascorse la giovinezza prima di prendere parte alla Resistenza partigiana e ambientò poi parte dei suoi scritti. Dico “splendido” perché me ne sono innamorata non appena vi ho messo piede: artistico e contadino, elegante e rurale insieme, Murazzano c’ha accolto con ottimo cibo (eh sì) e con un’aria bianca e polverosa, triste lascito di una siccità che imperversava da mesi nella zona, disseccando i campi e assetando colture e animali.
Dopo Murazzano ci siamo diretti verso la Liguria, cullati da una strada dalle ampie curve affacciata su pendii d’erba secca e gialla, e poco fuori dall’abitato, sulla curva, un cartello ha attratto la nostra attenzione: “La Massara – prodotti tipici“. «Ehi, fermiamoci!», è stato il commento di Martin, che ci ha fatto rischiare un tamponamento ma che in compenso ci ha portati a scoprire il piccolo, accogliente e fornitissimo paradiso di sapori langhetti.
La Massara è uno spaccio di prodotti tipici della zona: chilometro zero, ma per davvero, perché tutto – dai formaggi alla farina, dai fagioli alle nocciole – racconta un mondo contadino che fuori da questa porta è rimasto quasi immobile nel tempo. Cristina ha un sorriso amplissimo, un’aria alla mano e una gran voglia di chiacchierare: soprattutto, ha un enorme amore per il suo territorio e per le sue manifestazioni gastronomiche.
«Le Langhe sono famose, è vero, sono diventate un brand», ci spiega. «Ma l’Alta Langa è diversa, qui di fatto non c’è niente del sound che ha nutrito la fama delle Langhe: è una zona agricola, rurale, legata alla terra. Qui siamo ancora tutti allevatori, pastori e contadini. L’Alta Langa va cercata e amata per quello che è, ed a volte è difficile farlo comprendere».
Narrazione e realtà
Nell’ampio locale tutto rivestito in legno si può trovare ogni bendidio che il territorio langhetto possa offrire: ci sono i formaggi, ovviamente, a cominciare dalla tuma locale e dal Murazzano Dop, gustoso prodotto caseario a base di latte di pecora o misto pecora e mucca nonché presidio Slow Food. Ma ci sono anche i salumi, le farine per la polenta, i biscotti, le nocciole delle Langhe. E poi i fagioli (varietà locali, ovviamente, come il Fagiolo Viola del Diavolo, dalle striature violacee), il miele, il vino… Prodotti della terra. Cristina ce li racconta tutti, ce ne spiega origine e tradizioni e ci dispiega davanti agli occhi anche le contraddizioni di un mondo rurale così com’è raccontato rispetto a com’è nella realtà.
«Prendiamo il Barolo delle Langhe, oggi famosissimo», spiega a mo’ di esempio. «Fino a una quarantina di anni fa, gli agricoltori quasi te lo regalavano. Era tradizione che ciascuno si producesse il suo vino, questo sì: ma il mercato del vin come lo conosciamo adesso è cominciato circa vent’anni fa, ed era rivolto soprattutto alla gente di città». Stesso discorso per la nocciola: un business agricolo diffusissimo grazie alla presenza della Ferrero, eppure fino a qualche decennio fa i langhetti le piante di nocciolo tendevano a estirparle: «Preferivano usare il terreno per le patate, che rendevano assai di più. Il nocciolo è poco più che un arbusto e il suo legno non era granché utile neanche per le stufe, perché rendeva poco. Questo per dire che quando si parla di “coltura tradizionale” non è poi sempre così…».
Una storia di cooperativa e di bottega
Cristina conosce così bene il territorio perché vi è nata e cresciuta. Non solo: ha nelle vene la gestione dello spazio della bottega, ricavata nello stabile che ospita anche la casa di famiglia. La Massara, ci spiega, nasce nel 1990 come cooperativa agricola che riuniva diversi produttori del territorio, dai casari ai coltivatori: lo spaccio era l’area di compravendita dei diversi prodotti, secondo un sistema di lavoro cooperativo, appunto, ed era gestito dalla madre di Cristina.
«La cooperativa è nata nel periodo in cui delle Langhe non parlava ancora nessuno», spiega Cristina. «Da qui, la gente tendeva ad andarsene: “la terra è bassa”, dicevano gli anziani, cioè difficile da far rendere. La tendenza si è invertita quando è iniziata la riscoperta dei prodotti locali».
Nel 2006, la cooperativa ha chiuso i battenti, ma non il negozio. Cristina ha scelto infatti di rilevarlo e di rilanciarlo come punto di appoggio per i prodotti del territorio, uno spazio aperto tanto ai locali quanto ai viaggiatori di passaggio: «Dopotutto questa è casa mia», spiega. «E non volevo cercare un altro lavoro. Mi piace l’idea di raccontare a chi passa un po’ di cose su questo territorio: è un peccato che si pensi alle Langhe solo in relazione al vino e alle nocciole, perché qui, come vedete… E’ ancora tutto molto autentico. E infatti inizia a esserci anche qui un timido “ritorno al territorio”… Speriamo!».