“Non c’è niente”
Quante volte le aree interne e montane si vedono appiccicare addosso questa etichetta di vuoto, di nullità?
Eppure, in quel “niente” ci abitano persone. In quel “niente” c’è chi si sbatte, sogna, tutela, protegge, immagina e si sforza per avere qualcosa in più: servizi, spesso, ma anche svaghi, occasioni di comunità, rilancio dell’occupazione. E allora come fa a essere “niente”? Allora con che arroganza si giudicano tutto questo un “niente”?
Eppure, questo “niente” sta diventando sempre più preda di accaparramento di gente che ha tutto ma vuole di più: il casale figo col panorama stratosferico, la casa vacanze, la villa in montagna, il muro attorno alla sua porzione di vista e fuori tutti dai terrazzamenti in disuso che ora portano il suo nome. Non c’è niente eppure si taglia via a fette la possibilità di fruire il territorio a chi lo vive, in nome del turismo, dell'”io posso”, dell'”adesso è mio”.
Allora forse non è vero che “non c’è niente”. Allora forse la bellezza del paesaggio, l’assenza di folle, i centri storici intatti, l’aria salubre, i profumi dell’aria, l’orto sotto casa, il cibo genuino e vicino, le tradizioni sono molto più di “niente”.
Nel presunto vuoto delle aree interne si custodisce la possibilità di una vita altra da quella urbana: non sempre facile, non sempre comoda, ma di certo molto più che “niente”. E credo sia importante accorgersene, tutelare questa possibilità, prima che il nostro “niente” venga definitivamente svenduto alla predazione altrui. Ai soldi di pochi, per cui il “niente” fa status distruggendo le prospettive di vita e lavoro per cui quel “niente” è in realtà tutto.