venerdì , 8 Novembre 2024

Indagare i territori dalla prospettiva di chi li abita: intervista a Francesca Sabatini

Qual è il ruolo della Geografia nella codifica e nella comprensione delle aree interne e dei territori montani? Come osservare e analizzare i processi turistici nei luoghi minori d’Italia? Sono solo alcuni degli spunti sollevati da Francesca Sabatini, ricercatrice e geografa, nel corso della sua ricerca attorno al territorio dei Monti Sicani, in Sicilia: un territorio «di voci polifoniche e variegate; voci politiche, artistiche, antimafia, e certamente non standardizzate», racconta Francesca, che ha tradotto il suo percorso di analisi e approfondimento in un libro, ‘Geografia delle aree interne. Discorsi e pratiche turistiche nella Sicilia fredda‘, edito da Guerini e Associati, e che in questa intervista prova a delineare il rapporto tra Geografia e aree interne e il contesto turistico di un territorio montano “visibile-invisibile”. [Questa intervista è stata pubblicata inizialmente su L’Altramontagna il 15 ottobre 2024, nda]

Francesca, prima di entrare nel vivo della tua ricerca sulle aree interne e sui Monti Sicani, ti va di delineare il tuo percorso di studio e approfondimento? Come ti sei avvicinata al tema delle aree interne?

Inizio col dirti che sono una geografa, mestiere oggigiorno forse in via di sparizione. Il mio percorso è cominciato all’Università Roma Tre, dove ho analizzato dalla prospettiva della Geografia Sociale il tema dei disastri in aree montane, e in particolare il post terremoto di Amatrice (2016), con il collettivo Emidio di Treviri. Poi, nel 2020, mi sono trasferita in Sicilia per un Dottorato in Geografia al Dipartimento Culture e Società dell’Università di Palermo ed è stato lì che ho iniziato a occuparmi più nello specifico delle aree interne, con un focus sull’area dei Sicani. La mia ricerca di Dottorato è durata fino a giugno 2023, e si è articolata sia nella definizione della categoria delle “aree interne” e nell’immaginario che questa veicola, sia in un lavoro sul campo, durante il quale ho interagito con i vari attori e soggetti attivi nella progettazione e nello sviluppo locale dell’area interna Sicani. Ho scelto tuttavia di lavorare non su tutti e dodici i comuni dell’area interna, ma su quelli più montani e remoti del territorio. Immagino di aver fatto questa scelta anche per affinità personale a questo tipo di contesti, visto che la mia famiglia è originaria di Pescocostanzo, un paese abruzzese a 1.400 metri di quota.

Come mai hai scelto i Monti Sicani per la tua ricerca e, di conseguenza, come soggetto di studio del tuo libro “Geografia delle aree interne. Discorsi e pratiche turistiche nella Sicilia fredda”?

Ho scelto quest’area per vari motivi. Inizialmente ci sono arrivata attraverso il PRIN (Progetto di rilevante interesse nazionale) Branding4Resilience attivo sul tema dell’infrastruttura turistica come motore di sviluppo resiliente per i territori e le comunità delle aree interne: tra i territori analizzati c’erano anche i Monti Sicani. Mi sono unita a loro in una prima fase della ricerca, per i primi sopralluoghi e per cominciare a costruire una mia rete di contatti. Successivamente ho proseguito in forma indipendente, decidendo di concentrarmi sulla parte meno conosciuta di un territorio a sua volta molto poco noto. Nel nostro Paese ci sono aree interne che, per vari motivi, sono diventate più famose e “visibili”: ecco, l’area dei Sicani non è niente di tutto ciò. È una zona sconosciuta non solo nel dibattito nazionale, ma anche nell’immaginario siciliano, che rappresenta una regione litoranea, costiera, balneabile e di città d’arte. Quello dei monti Sicani è un territorio montano e collinare d’entroterra, a cavallo tra Palermo e Agrigento, certamente ricco di attrazioni storiche, archeologiche, culturali ed enogastronomiche, ma molto poco assimilabile all’immaginario siciliano mainstream.

Inoltre c’è un’ambiguità di fondo su che cosa siano i Sicani, e questa ambiguità mi affascinava. Con la professoressa Giulia de Spuches, mia tutor di ricerca, abbiamo ragionato proprio sul fatto che si tratta di un territorio visibile-invisibile: un’opacità che ho cercato di approfondire nel mio libro, interrogandomi su che cosa siano i Sicani per chi li abita.

Che cosa è emerso? Cosa sono i Sicani?

I Sicani sono originariamente un popolo dell’antichità che ha abitato insieme ad altri l’isola, e ha lasciato alcuni resti archeologici in diversi comuni. Intorno ai Sicani c’è poi una mitologia molto interessante, legata alla storia del re sicano Cocalo che accolse Dedalo fuggitivo dai soldati di Minosse, dopo essere volato via con Icaro dal labirinto in cui il re cretese li aveva imprigionati: questa storia è molto sentita nella zona, ed è alla base di un sentire condiviso sull’accoglienza e l’ospitalità che negli ultimi anni si è cercato di valorizzare a livello turistico.

A livello storico quindi i Sicani sono un popolo, poi il toponimo ha finito per indicare i Monti Sicani, che però non sono tutto il territorio che si riconosce come sicano, ed è questa la cosa interessante: negli ultimi anni ci sono state iniziative di marketing e di progettazione turistica per dare al territorio sicano un’identità che andasse al di là dei monti, su un territorio più esteso che può coincidere con varie geografie. A cominciare dalla geografia del GAL omonimo, che comprende ventinove comuni e dal mio punto di vista è stato – grazie a diverse azioni di turismo locale, portate avanti principalmente con bandi regionali – uno dei soggetti che più di tutti ha promosso il territorio sicano.

Quindi, per rispondere alla tua domanda, cosa sono i Sicani? Sono tante cose: sono un mito e una storia arcaica, sono dei monti e delle geografie progettuali che variano a seconda delle diverse formazioni di attori che fanno sviluppo locale, marketing, progettazione turistica. Questo è interessante, e per certi versi anche controverso.

In che senso “controverso”?

Nel libro ho affrontato il tema del turismo nelle aree interne con una prospettiva critica. Nella parte di analisi più generale sulla Strategia Nazionale per le Aree Interne, faccio emergere come sia nel discorso di questa politica sia effettivamente nei finanziamenti messi a disposizione delle singole aree in Italia, il turismo sia una delle voci prevalenti. Questo si nota non solo rispetto agli investimenti a scala nazionale, ma anche nelle singole Strategie d’area: in quella dei Sicani, il turismo costituisce la terza voce di spesa. Questi dati, per quanto in costante aggiornamento, raccontano quanto il turismo – nei Sicani così come in tutta Italia- sia uno dei settori su cui si sta più investendo per rigenerare le aree interne.

Questo, dal mio punto di vista, ha degli aspetti critici o potenzialmente critici, sia dal punto di vista economico che da quello dell’immaginario di questi territori, che finisce per essere schiacciato sui desideri e le necessità deifruitori “urbani”, per lo più intermittenti. Non è un aspetto che si può ignorare.

Parlando di turismo nelle aree interne, quelli che delinei sono rischi che corre anche il territorio sicano? Oppure, trattandosi come dicevi di un’area “visibile-invisibile”, è in atto un percorso diverso, in ambito turistico e fruitivo?

Se analizziamo la situazione attuale, ti direi che quella dei Sicani oggi è una zona ancora poco sviluppata sotto il profilo turistico, sia in termini di alloggi (che sono molto carenti), sia in termini di infrastrutture turistiche in generale. Giusto per farti un esempio: solo recentemente è andata in porto una delle azioni del GAL Sicani legata alla segnaletica, che prevede la distribuzione nei comuni della rete di una segnaletica uniforme per identificare aziende agricole, alberghi, punti di interesse del Distretto Rurale di Qualità locale. Una misura, questa, che dovrebbe essere uno dei primissimi elementi di qualunque destinazione turistica, e che qui è arrivata soltanto ora. Dal punto di vista dell’organizzazione turistica, è quindi un’area ancora indietro, ma che sta lavorando molto in questa direzione, e in modo interessante, perché gli attori locali puntano sulla costruzione di una destinazione turistica reticolare, per non concentrare i visitatori e i flussi solo in alcuni punti di interesse ma distribuirli in una rete diffusa, anche in un’ottica di destagionalizzazione.

Quanto ai rischi che delineavo, quindi, forse si tratta di criticità in prospettiva. Osservando il tipo di turismo attuale nell’area, si nota infatti che è sì diversificato, ma con una prevalenza – accanto al turismo di tipo escursionistico e naturalistico, tendenzialmente medio e basso spendente – di un turismo esperienziale che si rivolge a un target alto spendente. Questa fruizione del territorio, in futuro, rischia di rendere più elitaria l’offerta turistica di quest’area interna, e quindi di alzare i prezzi di determinati beni e servizi, direzionando le attività locali verso un certo tipo di utenti, diventando escludenti rispetto ad alcune fasce della popolazione locale. Come dicevo, però, lo identificherei come “rischio possibile”, perché al contempo l’interesse turistico per il territorio porta anche dinamiche positive: a cominciare dall’interrelazione di attori e soggetti locali – come piccoli tour operator, associazioni, reti di cittadini – che in questo modo raccontano il proprio territorio, facendo parlare voci diverse e variegate.

Questo processo dal basso potrebbe rappresentare un possibile modello di sviluppo turistico per le aree interne, una terza via tra il “niente” e l’eccessivo sfruttamento turistico?

Faccio una premessa importante: le attività delle associazioni con cui ho lavorato sono per lo più non retribuite. Si tratta in prevalenza di enti del terzo settore checercano anche di promuovere il territorio con diverse iniziative, il che a mio avviso ha grandi potenzialità, perché offre proposte turistiche diversificate, consapevoli, molto radicate nei luoghi e con attori locali davvero protagonisti. Queste iniziative hanno effetti positivi sul territorio in termini di rete e di coesione territoriale, che si traducono poi anche nella capacità progettuale.

Però al contempo le associazioni non sono soggetti economici, i soci non vivono delle attività associative: è quindi difficile parlare di un processo di sviluppo per queste attività. Questo è un problema, ovviamente non imputabile alle associazioni ma in generale ai modelli di sviluppo. Però, che nei Sicani oggi ci sia una “terza via” tra turismo di massa e il niente, sì, può essere vero.

Secondo la tua esperienza e la tua ricerca, che cosa emerge dal racconto degli attori locali sul territorio?

È emerso un racconto polifonico di soggetti che vogliono raccontare il loro territorio attraverso tante voci: politiche, antimafia, artistiche, tradizionali; voci non standardizzate, non mainstream che coniugano la proposta turistica con storie di attivismo sociale o ambientale. L’aspetto che più mi ha interessata è stata proprio questa stratificazione di voci, e vedere come la narrazione dei vari attori e soggetti del terzo settore sia basata su elementi molto diversi, capaci di legare risorse ambientali con lotte politiche, la tutela della tradizione con i prodotti locali, e come tutto questo non si schiacci su un’idea di turismo standard, che pure non manca. Il racconto degli attori locali sul territorio sicano è corale, non univoco.

Quale ruolo può avere la Geografia oggi rispetto all’osservazione e alla narrazione di questi territori?

La Geografia è una disciplina che indaga i contesti territoriali, le questioni ambientali, le trasformazioni urbane o dei territori periferici; è sempre stata una disciplina di descrizione e analisi delle relazioni spaziali. Nello specifico rispetto alle aree interne, posso dirti quello che rappresenta per me, cioè una prospettiva dalla quale osservare le trasformazioni dei luoghi meno rappresentati e raggiungere anche attori locali magari distanti dalla politica, dalla progettazione e dai claim. Insomma una disciplina che può indagare i territori dalla prospettiva di chi li abita, per capire e accompagnare i processi trasformativi in atto, non solo ovviamente in ottica turistica, ma rispetto ai diversi usi del territorio. Ecco, ciò che spero emerga dal libro e dalla ricerca è proprio questo: la possibilità della geografia di interpretare i processi in atto nelle aree interne, da punti di vista plurali e posizionati.

La fotografia a copertina dell’articolo, raffigurante Francesca Sabatini, è a cura di Ailar Sajjadi. 

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