[Articolo originale pubblicato su L’AltraMontagna il 7 febbraio 2024]
Una borgata, Sussia, nascosta nel bosco e abbracciata da prati, sul crinale da cui lo sguardo spazia sulle ondulazioni prealpine della Valle Brembana bergamasca e sulla corona di monti che la stringono da nord. Se si potesse bucare il Pizzo del Sole con lo sguardo, giù sotto in fondo al pendio si scorgerebbe San Pellegrino Terme, il suo Grand Hotel, i suoi palazzi liberty, lo stabilimento che ha reso il nome del paese celebre nel mondo. «E invece, quassù è tutta pace» commenta Chiara Pesenti con una risata. «È per questo che Sussia è così speciale». Con l’energia e la vitalità di chi ha capito qual è il proprio posto nel mondo e combatte per proteggerlo, Chiara è l’anima portante e presidente dell’associazione Amici di Sussia, piccola e vivace realtà locale nata inizialmente per portare una strada al paese, e che ora cerca di mantenere viva la minuscola borgata orobica, far conoscere le sue bellezze e custodire la sua eredità senza snaturarla.
Una borgata dalla storia antica
«Sussia potrebbe essere tra le più antiche frazioni di San Pellegrino Terme» spiega Chiara. «Ci sono testi e riferimenti alla località Suctia, o Suzzia, già in vecchi documenti medievali, e precedenti a quelli relativi a San Pellegrino. Come da consuetudine montanara, infatti, è nata molto prima la borgata in quota rispetto al paese a valle, perché era in alto che si svolgeva la vita delle genti di montagna, tra alpeggi e transumanze». Queste zone – i prati e i boschi attorno alla borgata, le cappelline che punteggiano i sentieri, le montagne che abbracciano il panorama – Chiara le conosce come le sue tasche: quassù abitavano i nonni, quassù il padre ha mantenuto le sue radici e ristrutturato anno dopo anno la Ca’ del Tòcio (“Tòcio” era appunto il soprannome della famiglia, tramandato di generazione in generazione), quassù lei ora torna non appena può, per respirare a pieni polmoni l’aria pulita e godere dei piaceri semplici e intensi di una vita a contatto con la natura, per lei e per la sua famiglia: il calore della stufa, la bellezza dei primi fiori sbocciati, i colori cangianti dei boschi e del cielo, la fatica e la soddisfazione di guadagnarsi ogni piccola cosa, fosse anche solo bere un bicchiere d’acqua… Visto che, qui, l’acqua potabile bisogna ancora portarsela a spalle, oppure in auto. Uno dei tanti “sacrifici” che, spiega Chiara sorridendo, in realtà non lo sono poi tanto: «Quando abiti in montagna, e soprattutto in una montagna non turisticizzata e scarsissima di servizi, impari l’essenzialità e il risparmio… Anche delle tue stesse energie, perché impari a non fare cose inutili. In un mondo come quello attuale, è un approccio molto educativo e arricchente: insegna a non dare nulla per scontato, a guadagnarti ciò che conta».
Siamo a circa 1000 metri di quota, sul versante ovest del Brembo, proseguendo oltre la località Vetta di San Pellegrino Terme, e più che di un “borgo” nel caso di Sussia dovremmo parlare di “borgata”: non arroccamento di abitazioni addossate ma pietrose case sparse tra piccoli e ondulati appezzamenti prativi, e una storia antica che – come in molti altri luoghi alti d’Italia – fino a pochi decenni fa parlava di operosità, di abitanti numerosi, di storie intrecciate di lavoro e quotidianità, mentre ora racconta abbandono, declino e lo strenuo e appassionato tentativo di pochi di tenere vivo il luogo, di preservarne la memoria. «Sembrerebbe che nel 1744 qui sia nato Pietro Sonzogno, orologiaio di torri campanarie, una delle cui opere è anche in Città Alta a Bergamo» spiega ancora Chiara. «Anche se il personaggio più famoso di Sussia è Antonio Baroni, nato nel 1833, prima guida alpina del CAI di Bergamo. E non è un caso che la borgata sia nota soprattutto tra i soci del CAI: uno degli obiettivi dell’associazione Amici di Sussia è proprio farla conoscere anche ad altri».
Una strada per non consegnare il paese all’oblio
L’associazione Amici di Sussia è nata nel 2000 con un obiettivo molto semplice: far arrivare una strada agrosilvopastorale alla borgata, perché fosse ragionevolmente possibile giungere fin quassù per chi ancora vi abitava e per chi voleva salire a mantenere il territorio e tenere pulito il bosco. «Fino a qualche decennio fa, qui ci si muoveva solo tramite sentieri e mulattiere» spiega Chiara. «La strada era stata promessa da una vita ed era un fattore di primaria importanza per favorire la cura delle case o delle porzioni di bosco e di prato, e in definitiva per tenere vivo il luogo. Senza strada un paese muore, soprattutto se si parla di un paese che già tende al declino. È impensabile custodire un luogo di montagna se non ci riesci ad arrivare non dico con la macchina, ma almeno con un trattore».
La costruzione della strada è iniziata nel 2003, grazie all’azione di tam tam dell’associazione che tuttavia – ammette Chiara – si è trovata a gestire anche post e articoli molto critici sullo “scempio” che essa portava con sé. «Scempio? È una strada agrisilvopastorale che permette di conservare un luogo vivo anziché consegnarlo all’oblio» commenta la donna. «Quando si parla di montagna, molti confondono la custodia attiva di un territorio con il suo abbandono al selvatico. Non sanno di che parlano: bastano pochi mesi di incuria perché il bosco si mangi intere porzioni di prato, e bastano pochi anni perché un luogo prima abitato venga inghiottito dalla natura. Gli scempi in montagna sono ben altri, e hanno a che fare con chi un luogo lo distrugge, lo sfrutta, lo snatura. Non certo con chi chiede di poterci arrivare con un mezzo, fosse anche solo per spostare la legna».
Comunità, memoria, turismo gentile attorno alla Ca’ del Tòcio
Oggi, a distanza di una ventina d’anni, l’associazione conta una quarantina di persone, tutte legate dal desiderio di rendere Sussia un luogo di ritorno, di vita, di scoperta. «Ci piacerebbe costruire un bivacco-museo in memoria di Antonio Baroni nell’edificio che era la scuola di Sussia» racconta ancora Chiara. «Perché sì, Sussia aveva anche una scuola ed era abitata tutto l’anno. Oggi, vi è un unico residente stabile ufficiale, il Gianni, che ha 73 anni ed è nato e vissuto sempre qui; poi ci sono alcune persone come noi, che abitano un po’ più a valle per questioni di lavoro e di famiglia e tornano su ogni volta che ne hanno l’occasione. Da poco è stata aperta anche una piccola casa vacanze, Ca’ Fonta, in un vecchio fienile abbandonato che è stato recuperato. Insomma, qualcosa si muove». Da qualche tempo, l’associazione ha iniziato a organizzare a Sussia anche diversi eventi per la scoperta del territorio, come passeggiate, incontri e momenti conviviali, tutti votati alla promozione di un tipo di turismo lento, locale, attento e gentile.
Visto che in borgata quasi tutti i terreni sono privati, solitamente gli eventi si svolgono nell’unico spazio pubblico: il sagrato della chiesa. Inoltre, alla Ca’ del Tòcio Chiara piace tenere le porte aperte, sia per chi sale a Sussia, sia per le associazioni che vogliono organizzare qualcosa, in ottica di scambio, comunità e incontri. «Quando decise di lasciare Sussia, perché il boom economico chiamava a valle gli abitanti del paese con le promesse di una vita un po’ meno faticosa, mio nonno vendette le stalle e i terreni di famiglia all’unico rimasto in borgata». Mentre dipana la storia di famiglia che spiega il suo fortissimo legame con Sussia, Chiara traccia scenari che potrebbero essere usati per raccontare molte delle aree interne e montane del nostro paese: l’attrattiva del lavoro in stabilimento dopo una vita di fatiche in montagna (in questo caso, si parla dello stabilimento della San Pellegrino), l’emorragia a valle, le borgate di mezzacosta progressivamente spolpate di abitanti.
Quando il padre di Chiara volle provare a ricomprare i possedimenti della famiglia per non perdere il legame con Sussia e con i suoi panorami alpestri, tuttavia, scoprì che non era possibile: in un mondo alto di prati impervi, gli appezzamenti di terreno in area tutto sommato pianeggiante erano rari e preziosi, e il nuovo proprietario non volle rivendere. Ma il Tòcio non demordette e dopo qualche tempo scoprì che proprio a Sussia era in vendita un’altra casa, o meglio, una porzione di rudere. «Ha iniziato pian piano a ristrutturarla, da solo e sempre in economia, ovviamente» racconta ancora Chiara. «Per me Sussia rappresenta infiniti weekend in cui salivamo tutti insieme per lavorare alla casa. Tieni conto che la corrente è arrivata a Sussia solo negli anni Settanta, e che in barba alla fama delle sorgenti miracolose di San Pellegrino la zona della borgata è povera d’acqua… Insomma, stiamo parlando di un luogo ancora rustico, espressione di una montagna autentica e semplice. E vorremmo che in un certo senso restasse così. È questa la montagna che ci impegniamo a tenere viva, a far conoscere. La montagna vera, non patinata. La montagna delle nostre radici».