«Raccogliere erbe selvatiche con cui nutrirsi per me è il primo atto di autodeterminazione possibile. Non solo: è anche un modo per conoscere la montagna e in generale gli ambienti naturali che abbiamo attorno. Conoscerli e quindi, di conseguenza, imparare a tutelarli». A parlare è Erica Pozzi, 35 anni, forager bergamasca che ha fatto dello studio e della conoscenza del mondo delle erbe selvatiche, delle loro molteplici proprietà e della tutela del loro habitat la sua passione e il suo lavoro. Attraverso corsi, workshop e momenti di condivisione così come attraverso la sua pagina Instagram Gli Orsini, Erica infatti non soltanto racconta la sua attività, ma mostra uno spaccato di natura alpina e prealpina poco conosciuto e troppo spesso affrontato in modo superficiale, in risposta alle mode del momento. «La raccolta delle erbe selvatiche non è qualcosa su cui ci si può improvvisare» spiega, mentre mi indica questa o quella pianta e me ne illustra proprietà e utilizzi. «Ma di certo è un’attività che può dare strumenti importantissimi per entrare in contatto con i propri luoghi, per imparare a vederli non solo come scenografia ma come parte di sé. Soprattutto se si parla di ambienti fragili o particolarmente minacciati, come quelli alpini e prealpini».
[Questo articolo è stato pubblicato su L’Altramontagna il 20 aprile 2024]
Lavorare con le erbe selvatiche
Originaria della provincia milanese e con alle spalle un percorso di studi e di lavoro variegato ed eclettico – ha studiato educazione ambientale, ha vissuto e lavorato per qualche tempo in centro Italia, successivamente si è formata come guida ambientale escursionistica – Erica si è avvicinata al mondo del selvatico per caso, durante la sua permanenza in Umbria: «È stato lì che ho cominciato a raccogliere qualche pianta tra le più comuni, ma è stato quando sono tornata a Bergamo, per la precisione in Valle Seriana nel 2014, che ho approfondito l’ambito studiando e toccando con mano la varietà e la ricchezza delle piante selvatiche commestibili o curative soprattutto dell’ambiente montano prealpino, particolarmente ricco di biodiversità».
Oggi Erica abita ad Alzano Lombardo (BG) e si occupa di erbe da più di dieci anni, da sei con partita Iva come imprenditrice: collabora sul territorio con ristoranti, enti locali e associazioni, organizza corsi e workshop di raccolta, conoscenza e utilizzo delle piante selvatiche fitoalimurgiche, da sola o in collaborazione con altre professionalità in ambito selvatico e olistico. Tra i progetti futuri, c’è la frequentazione di un corso di micologia e la realizzazione di un piccolo laboratorio personale di trasformazione delle erbe, oltre che lo sviluppo di un progetto dal nome Selvaggio Alpino (un “esperimento” condiviso con un’altra raccoglitrice per sperimentare un periodo di alimentazione selvatica alpina) e il potenziamento dei contatti con le realtà del territorio.
«È bello vedere che ci sono realtà della ristorazione che prestano un occhio sempre più attento all’integrazione delle erbe spontanee stagionali nella propria proposta» spiega Erica.
«In questi casi, io procuro solitamente o erbe specifiche su richiesta, come nel caso delle gemme di abete o larice, oppure raccolgo misticanza selvatica fresca che ovviamente varia da stagione a stagione». Tra le persone del territorio, spiega ancora Erica, c’è curiosità verso l’ambito selvatico: i suoi workshop di raccolta sono molto partecipati e sempre più gente prova ad avvicinarsi alla conoscenza di un mondo che «solo fino a pochi decenni fa era parte integrante della vita quotidiana dei nostri paesi e delle nostre montagne. Oggi si è perso il contatto con la natura e tante conoscenze tramandate e condivise sono cadute nell’oblio: ma sta tornando la consapevolezza della loro importanza, e questo è molto bello».
Ritrovare una connessione
Il fil rouge del lavoro di Erica sul territorio è la connessione che si crea tra il raccoglitore di erbe e il territorio entro cui si muove: una connessione che passa in primo luogo dalla conoscenza e dal rispetto dei cicli delle piante, delle stagioni, dell’ambiente circostante. «Oggi si sente spesso parlare di foraging e questo è positivo» racconta Erica «Quello che invece mi preoccupa, e non poco, è il fatto che spesso su questa attività ci si improvvisi. Non basta guardare un video su Youtube per iniziare a raccogliere in autonomia: non solo è pericoloso, perché si possono raccogliere per errore erbe velenose o tossiche, ma è anche deleterio per l’ambiente naturale, perché ci sono specie protette e raccolte regolamentate per tutelarne lo sviluppo e la crescita». Un esempio? «Prendiamo la genziana, che è specie alpina protetta» continua Erica «Non è protetta perché ce ne sono poche: è protetta perché il fiore ci mette fino a dodici anni a svilupparsi per germinare, e se la si raccoglie a casaccio si rischia di interromperne il ciclo».
Ma la connessione di cui parla Erica non è soltanto scientifica: attinge anche a una dimensione più profonda e ancestrale. «Gli esseri umani nascono come raccoglitori, e la capacità di decifrare il selvatico per trarne nutrimento fa parte della nostra storia umana, ce l’abbiamo dentro» racconta.
«Siamo da sempre stati connessi con il mondo naturale che ci circonda, e quando ci concediamo di tornare ad avvicinarci ci rendiamo conto che questo legame non è stato spezzato del tutto. È come se queste conoscenze siano solo sopite: e infatti mi capita spesso, durante i workshop, di vedere che negli occhi delle persone si accende una luce di riconoscimento, come una rimembranza».
«Si impara a sentire la natura, ad ascoltarla, a capire quanto profondamente ci possa nutrire, e non solo su un piano fisico. E quindi, di conseguenza, si impara a volerla proteggere. La conoscenza porta con sé l’amore, e l’amore per un luogo porta con sé la cura, l’urgenza di non volerlo vedere distrutto o rovinato. In questo senso, raccogliere le erbe selvatiche è un atto non solo di autodeterminazione alimentare, ma anche di presa in carico consapevole della salvaguardia di un territorio».
La ricchezza dell’ambiente prealpino
Il luogo d’elezione di Erica, nonché quello in cui si sente più a casa e di cui ama profondamente ricchezza e varietà, è quello alpino e prealpino. Qui, nelle Prealpi Orobie, trova infatti un ambiente pressoché unico: «A livello vegetale, questo territorio è pazzesco» spiega «Durante l’ultima glaciazione, infatti, parte di questa sottile fascia alta restò separata dalle altre aree montane circostanti, e questo si è tradotto nello sviluppo locale di specie endemiche, che altrove non si trovano… Se ne scoprono anche di nuove, come la Primula albenensis, una primula bellissima che è stata rinvenuta soltanto sulle pendici del Monte Alben». Anche a livello climatico, spiega Erica, la fascia prealpina è un vero e proprio paradiso: mitigata dall’influsso della pianura e protetta dalle catene alpine alle spalle, è un tripudio di specie e di erbe, in una ricchezza di biodiversità che fa la felicità di qualsiasi raccoglitore, ma che soprattutto andrebbe tutelata proprio in virtù della consapevolezza del suo valore.
«Dopo il periodo del Covid, le montagne sono state letteralmente invase» spiega Erica «Questo mi preoccupa perché se da un lato è bello che più gente si avvicini alla montagna, dall’altro farlo senza sapere come muoversi e come comportarsi porta con sé un impatto antropico dannosissimo. Mi piace pensare che, divulgando quello che so, mi sto prendendo cura della montagna così come lei si prende cura di me, su più piani».