giovedì , 21 Novembre 2024
L'uomo delle maschere | Montanarium 2020

L’uomo delle maschere

Di contrada in contrada, i visi mascherati secondo l’usanza del teatro popolare e una tradizione da tenere viva a dispetto del tempo che passa: erano le “Mascherade in cuntrada”, carnevale montano del piccolo paese di Dossena, nella Valle Brembana bergamasca, che sul filo delle celebrazioni carnevalesche di tutto l’arco alpino univa gli slanci della commedia dell’arte ai riti agropastorali di passaggio tra le stagioni, dall’inverno ai primi sospiri di primavera.

Il cuore delle Mascherate in Cuntrada è sempre stato Piero Zani, 74 anni, dossenese doc, memoria storica del paese, montanaro convinto, radicato nella sua terra con la stessa tenacia dei boschi che abbracciano le vallate circostanti: è lui il custode della tradizione, dei ricordi e della ritualità che segna il confine tra ciò che è turismo e ciò che invece è autentico. Entusiasta ed istrionico, ci spalanca le porte di casa sua insieme alla moglie Liliana e ci impiatta una cena tipicamente montana – patate dell’orto, formaggio locale, vino rosso a profusione – mentre inizia a raccontare. «Le radici – si infervora subito – non vanno dimenticate: vanno ricordate, insegnate, tramandate a chi le vuole tutelare. Che è cosa diversa dallo stravolgerle per convenienza turistica».

Mascherade in cuntrada

«Ci sono testimonianze di mascherate e rappresentazioni teatrali tra le varie contrade già tra fine Ottocento e inizio Novecento – spiega Piero -. Poi, attorno agli anni ’60 e ’70, questa usanza si è persa, non si andava più nelle contrade, sono subentrate le maschere in plastica… Ecco perché abbiamo voluto riprendere l’usanza: parla di noi, di ciò che siamo».

Con un gruppo di amici – attori dilettanti, ma anche musicanti e appassionati di canti popolari – Piero ha così fondato “Le Maschere” e ha riportato in vita l’usanza del carnevale itinerante serale nelle varie contrade del paese, così come si faceva una volta: niente travestimenti in plastica, quindi, né personaggi “da fuori”, ma soltanto maschere realizzate a mano e personaggi popolari del teatro itinerante, come l’arlecchino, il mago, il vecchio e la vecchia, la giovane e il suo “moroso”, il contadino con l’asino, il dottore, il notaio e tutte quelle figure iconiche della vita civile di un paese.

La tradizione carnevalesca montana era soprattutto un’occasione di svago per la gente di montagna, provata dal lungo inverno e dalla durezza delle condizioni di vita: ecco allora che gli attori – tutti maschi, che recitavano anche i ruoli femminili – partivano la sera, anticipati da un “bandì” di musicanti, e raggiungevano la piazzetta centrale di ciascuna contrada di Dossena – Edelweiss, Gromasera, Ca’ Astori, Molini, La Villa… – per mettere in scena rappresentazioni esilaranti e divertenti. Un momento magico, che “Le Maschere” hanno voluto riprendere e ricollegare anche ai riti agropastorali di passaggio dalla stagione fredda a quella più calda, celebrati dai contadini e dagli allevatori nel medesimo periodo, tra fine febbraio e fine marzo.

Insomma un continuum di tradizioni popolari, echi di un mondo contadino guidato dai ritmi della natura che esorcizzava con le maschere e il teatro il buio dell’inverno.

Addio al carnevale

La casa di Piero e Liliana è stata per anni il fulcro dell’attività del gruppo delle Maschere. Qui si realizzavano i costumi, qui si facevano le prove, da qui partiva la processione nelle varie contrade e qui si ritornava, per un bicchiere caldo e qualcosa da mangiare prima di rientrare a casa, a notte fonda. «Anche le maschere le preparavamo qui, a casa nostra, con la cartapesta e i fogli di giornale. Per farne solo una, ci vuole circa una settimana», spiega Liliana.

Quando il marito attacca, con voce tonante, i canti della tradizione popolare dossenese, lei gli va dietro con una voce altrettanto forte, ma più dolce: cantando sono una meraviglia di sonorità, a occhi chiusi e l’uno modellato sull’altra, e noi smettiamo di esistere. Ma quando il marito racconta, lei tende a stare più silenziosa: non gli ruba il palcoscenico, si vede che è lui l’attore della famiglia. Lei lo guarda con occhi vivacissimi, azzurri e spigliati, e di tanto in tanto spadella qualche altra patata sul nostro piatto, ci taglia qualche fetta di formaggio, commenta con arguzia all’enfasi del marito.

Ma la tradizione è di nuovo andata spegnendosi. Le maschere degli scorsi carnevali – ci spiegano i due anziani – sono ora tutta in cantina. Ce ne saranno circa ottanta, alcune da rappezzare, altre ancora bellissime e intatte, ma tutte inscatolate. «Dall’anno scorso abbiamo preferito defilarci dal carnevale dossenese – Piero lo dice con la delusione nella voce -. Era diventato una cosa troppo commerciale, chiamavano i gruppi folkloristici da fuori, insomma è stato trasformato in qualcosa di finto». Prende in mano una delle sue maschere, la guarda con nostalgia: ha il naso adunco, un bozzo di carta a simulare un neo e lunghi capelli biondi fatti di fili di lana.

«Dietro queste maschere ci sono radici, c’è la nostra storia, c’è la nostra identità come paese e come comunità. Mi piacerebbe tramandare questa cosa. Insegnare come si fanno, cosa rappresentano. Se solo ci fossero giovani desiderosi di portare avanti la tradizione… ».

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