La riflessione nasce dallo spot di Jeep Italia pubblicato su Instagram (e ora rimosso) che con il clam “L’ultima neve della stagione non puoi perderla” pubblicizzava un nuovo modello di fuoristrada, mostrandolo mentre sfrecciava fuoripista su un paesaggio montano innevato.
Il reel si concludeva con la frase: “Le montagne ringraziano”.
Al di là della mistificazione pubblicitaria (per fortuna i sentieri di montagna non sono accessibili alle auto!) e del messaggio secondo cui per godersi l’ultima (scarsa) neve dell’anno bisogna sfrecciarci sopra con un’auto… Ragionerei sull’uso della montagna come scenografia, come background per promuovere tutt’altro.
Il marketing ha un potere enorme nel plasmare gli immaginari collettivi e veicolare messaggio. Questo diventa tanto più evidente quando “si appropria” di luoghi o realtà fragili come la montagna, utilizzandoli per promuovere approcci o prodotti che non solo non c’entrano con quel contesto, ma sono per esso addirittura dannosi
Ma perché lo può fare?
Forse perché per troppi, oggi, effettivamente la montagna non è altro che questo: uno scenario. Un luogo da spremere.
E lo vediamo nella svendita dei paesi montani alle logiche competitive dei borghi, nei discorsi della politica, nella lontananza “emotiva” urbana dalle istanze dei montanari, nelle news che parlano di Milano-Cortina e di smart working in montagna ma non dell’assenza di servizi…
Quindi mi chiedo: quante altre volte, magari in buona fede, abbiamo accettato e avvallato una narrazione leggera, quando non proprio predatoria, del territorio montano?
E ancora: è possibile immaginare di contro un marketing etico, capace di coniugare l’esigenza promozionale con l’attenzione ad ambiente e società circostanti? Si può raccontare la montagna senza mutarla in scenografia?