No, non parliamone, ché se ne parla già abbastanza e quasi sempre male e forse è ora di finirla, di cambiare solfa, che ne dite? Sull’abuso della narrazione del “piccolo borgo” è già stato detto e scritto tanto, e da persone e professionisti ben più formati di me sul tema. Il “borgo” come etichetta turistica, pubblicitaria, come parola magica dello storytelling delle aree interne: il paese fa provincia, il borgo fa cool. Tutti vogliono vivere nei borghi, vedere i borghi, fare esperienze autentiche in borghi che di autentico, ormai, non hanno quasi più niente.
I paesi muoiono ma rinascono i borghi, e questa narrazione mi ha sempre fatto un po’ rabbia perché trasmette l’idea che un paese stanco e semi-spopolato sotto sotto se lo sia meritato, sotto sotto è un borgo che non ce l’ha fatta, non si è innovato né venduto bene e allora tanto vale che ci resti, nella sua marginalizzazione. Insomma, la colpa è sua e dei suoi abitanti, mica di chi ha attuato per decenni politiche di sviluppo sbilanciate e miopi e ancora oggi guarda solo dove tirano grana e pubblicità.
E allora partiamo da qui. Partiamo dai paesi che “non ce l’hanno fatta” a diventare borghi: perché troppo scomodi, perché ancora non rapacizzati da qualche agenzia immobiliare o di marketing, perché ancora sconosciuti, perché normali, normali in un mondo che cerca sempre l’eccezionale. Partiamo dal diritto dei paesi a morire, come scriveva Giuseppe Melillo, e da quello di rinascere secondo i propri tempi, che poi sono quelli della comunità che li abita e non di quella che li vorrebbe fruire. Partiamo da qui, se vogliamo davvero parlare di aree interne, di montagna da riabitare, di valli da ripopolare: il resto è solo marketing spiccio, una gallina dalle uova d’oro che prima o poi andrà a morire, lasciandosi dietro nuove macerie, persino più dolorose di quelle vecchie.
Alcuni link di approfondimento (non esaustivi, perché il tema è vasto, ma ottimi punti di partenza per una riflessione condivisa sulal questione):
- “Combattere contro un’idea di vuoto“, intervista al prof. Rossano Pazzagli
- “Il diritto dei paesi a morire” di Giuseppe Melillo
- “Così uccidete i paesi“, incentrato sulla realtà calabrese ma applicabile a tutto l’entroterra montano e collinare italiano
- “L’esibizione della comunità” di Anna Rizzo
- “Dobbiamo salvare i paesi” di Oreste Verrini
- “Aspettiamo insieme la fine dell’estate… E dei borghi” di Maria Fioretti
Erica Balduzzi, 6 gennaio 2022