venerdì , 8 Novembre 2024

Raccontare il lavoro nelle terre alte fuori da polarizzazioni ed estremismi: la storia di Marzia Verona, scrittrice e pastora

«È molto difficile, oggi, raccontare il nostro lavoro. C’è tanta disinformazione, ma c’è anche poca voglia di approfondire e di ascoltare, soprattutto sui social. E questi mezzi, che potrebbero avvicinare molte persone al mondo del lavoro nelle terre alte e della pastorizia, ultimamente finiscono solo per fomentare incomprensioni e pregiudizi. Molto di ciò che facciamo non si vede sui social, non si racconta o lo si racconta male». Mentre Marzia parla, di sottofondo giungono i belati e gli scampanellii del suo gregge, una trentina di capre di razza valdostana che lei sta conducendo al pascolo. “A spasso”, dice qualcuno, e lei ride: perché quello delle capre e dell’allevamento montano è un mondo che innamora, spiega, pur con tutte le sue criticità, e che merita di essere raccontato con cura e precisione.

Pastora, scrittrice, profonda conoscitrice del mondo alpino e delle sue intricate relazioni umane, ambientali, imprenditoriali, Marzia Verona è tante cose in una, ma una soprattutto: una donna radicatamente legata alle terre alte. E sono infatti le terre alte – con i loro abitanti e le loro complessità – a innervare di linfa il suo lavoro di scrittrice di lungo corso e saggista sui temi della pastorizia, dell’allevamento, dell’economia alpina: la montagna è protagonista, e non è mai idealizzata, mitizzata o demonizzata, semmai raccontata in tutte le sue sfaccettature. «Cerco di mostrare la complessità di questo mondo» spiega «Che ha un enorme valore di presidio dei territori di montagna». Oggi Marzia vive con il compagno a Nus, nel vallone di Saint-Barthélemy in Valle d’Aosta: gestisce con lui un piccolo allevamento di montagna composto da una ventina di bovini da latte e dalle capre e ha all’attivo numerose pubblicazioni tra narrativa e saggistica, tra cui “L’ora del pastore”, “Intelligente come un asino, intraprendente come una pecora”, “Dove vai pastore?” e “Storie di pascolo vagante”.

Conciliare scrittura e allevamento in montagna

Pastora e scrittrice, dicevamo. Piemontese di origine e valdostana di adozione, con un passato da ricercatrice sui pascoli alpini e avvicinatasi al mondo della pastorizia vagante grazie ad una precedente relazione sentimentale, Marzia ha imparato negli anni ad amare la dimensione pastorale e con il tempo al lavoro da scrittrice ha affiancato quello di allevatrice: due mondi che convivono e si influenzano a vicenda, spiega, perché le idee e gli spunti per le sue opere arrivano proprio dal mondo della pastorizia e della zootecnia alpina e da tutto ciò che vi ruota attorno, e al contempo la scrittura riesce a portarla avanti proprio durante le lunghe ore di pascolo, mentre le capre brucano e lei si può sedere con un quaderno in mano a dar vita ai suoi personaggi.

«Quando qualche capretto non mi mangia i fogli» ride «Ti assicuro che può succedere. Del resto, non è molto comodo portarsi il tablet tra prati e rocce…».

E se l’immagine che se ne potrebbe trarre ha un che di idilliaco, Marzia ci tiene a specificare che conciliare questi due lavori non è affatto facile. In primo luogo, per una questione di tempo e di reddito: «Vorrei scrivere molto di più» ammette «Ma quando si vive in montagna e si hanno gli animali è impegnativo, soprattutto se si cerca di essere quanto più autosufficienti possibile dal punto di vista alimentare. Orto, legna, casa, cucina, pane… Sono lavori collaterali all’attività agricola, lavori che ufficialmente non rendono ma assicurano un risparmio e permettono di restare a galla. Fino a qualche anno fa, questo mestiere permetteva di vivere. Non di arricchirsi, magari, ma di sopravvivere in modo compatibile con il territorio e sostenibile rispetto alla realtà locale. Adesso, da qualche anno a questa parte, ci troviamo sempre più in difficoltà perché economicamente le spese sono diventate insostenibili: le entrate sono sempre le stesse e le spese aumentano…». Questo, per Marzia, si traduce spesso nell’impossibilità di riuscire a dedicare alla scrittura il tempo e le forze che vorrebbe, e nel progressivo “abbandono” del suo blog, sul quale per anni ha raccolto testimonianze e riflessioni legate all’attualità in montagna.

Dalla saggistica alla narrativa

Nei suoi precedenti lavori letterari si dedicava principalmente alla saggistica e alle interviste, dando voce strutturata alla molteplicità di voci e racconti degli abitanti delle terre alte, mentre negli ultimi tempi Marzia ha preferito dedicarsi alla narrativa, una dimensione che – muovendosi a cavallo tra finzione e realtà e con personaggi immaginari – le permette maggiore libertà e la aiuta a toccare temi scomodi, spesso sottaciuti, senza bisogno di fare nomi diretti ma raccontando aspetti che tuttavia sono realissimi e presenti: è un po’ quello che ha fatto con il suo ultimo romanzo, “L’ora del pastore”, dito da Araba Fenice nel 2022, con cui ha affrontato la questione delle speculazioni sui pascoli alpini. «Non è un tema di cui pastori e allevatori parlano volentieri, né su cui si espongono serenamente. Se avessi voluto fare una raccolta di interviste sulla questione, non avrei ottenuto risposte» spiega Marzia «Veicolando invece la problematica in una dimensione di fiction narrativa, sono riuscita a parlarne, a dare voce e spazio a questa piaga di cui pochissimi, fuori dal mondo rurale, sono a conoscenza».

Allo stesso modo, nel romanzo a cui sta lavorando in questo momento tratterà i vari aspetti della vita in montagna, raccontando la storia di una coppia che attua una “migrazione verticale” con tutte le aspettative e gli imprevisti che questa scelta porta con sé. Uno sguardo dal di dentro, nel cuore del complesso sistema di relazioni e intrecci umani, economici, ambientali, turistici che caratterizza le terre alte anche e soprattutto nel presente.

Comunicare le terre alte tra polarizzazioni e necessità di equilibrio

«Il mondo della comunicazione è molto cambiato negli ultimi anni, e questo spesso mi lascia spiazzata» racconta Marzia. «Mi domando se questa nuova urgenza di comunicare, di mostrare, di fare video su qualsiasi cosa avvicini davvero al mondo della montagna e dell’allevamento montano, o se invece non rischi di trasformarsi in un’enfasi mediatica poco attenta, esagerata, fuori luogo, che non spesso non conosce questo mondo e quindi lo racconta in modo erroneo, parziale, veicolando immagini dannose per tutta la categoria. Ad esempio, una persona che non sa nulla di allevamento potrebbe filmare un allevatore mentre sbaglia nella gestione dell’animale e dare risalto quindi a un errore, trasmettendo l’idea che quella sia la prassi di tutto il settore quando invece non è così».

Il nocciolo fondamentale quando si parla di montagna e di comunicazione è, secondo Marzia, l’equilibrio: non basta scattare una foto o girare un video e piazzarlo su Internet, bisognerebbe prendersi il tempo di informarsi, parlare, avvicinarsi a questo mondo con attenzione e rispetto e con l’umiltà di volerne sapere di più.

«Il mondo della comunicazione attuale è fuorviante, perché l’abbondanza di materiale -più o meno valido, più o meno approfondito – rende difficile il discernimento e informarsi a dovere sulle cose. Soprattutto su un mondo vicino e lontano come quello dell’allevamento in montagna, affascinante ma anche vittima di troppe incomprensioni e facili prese di posizione estreme».

Un esempio su tutti? L’ormai dibattutissima e polarizzata “questione lupo”, grande classico dei flame social legati alla vita e al lavoro in montagna, che secondo Marzia è la cartina al tornasole di quanto le tematiche legate alle terre alte vengano troppo spesso affrontate sotto il profilo della “tifoseria” anziché sotto quello del necessario desidero di ascoltare (e comprendere) tutte le istanze, soprattutto quelle di quanti sono direttamente coinvolti nella problematica. «Ho perso il conto dei contenuti di creator, anche molto seguiti, che veicolano il messaggio secondo cui gli allevatori hanno predazioni da parte dei lupi perché non hanno i cani da guardiania» spiega «Ma è una generalizzazione! La questione lupo è composita, non va né sminuita, né esagerata, né mistificata. Ci sono zone diverse tra loro, luoghi e territori dove la convivenza è più difficile che altrove, e questo non dipende solo dalla presenza o meno dei cani ma anche dalla conformazione del territorio, che magari può essere più nebbioso o più scosceso e quindi più difficile da presidiare contro il predatore… In altri territori il pastore, anche grazie all’utilizzo dei cani da guardiania, riesce invece a limitare le predazioni, pagando un prezzo non indifferente in termini di fatica e costi. Questo non rende uno migliore dell’altro: dà semplicemente contezza della quantità di variabili che si possono verificare in questo lavoro. Eppure, dove finiscono tutte queste sfumature quando si parla di questi temi sui social? Sparite. Inesistenti. Ed è un grosso problema».

A questo si aggiunga, spiega Marzia, l’annosa questione della convivenza tra chi lavora in montagna e chi invece la montagna la fruisce da esterno o da turista, e della mancanza di adeguata informazione sui comportamenti da tenere in relazione agli animali, cani da guardiania compresi.

«Mi piacerebbe che anche qui da noi, come in Francia, si organizzassero degli stage e corsi di formazione per operatori turistici in montagna, coinvolgendo anche le aziende e gli allevamenti in quota per spiegare anche ai turisti come comportarsi, la funzione dei cani, il valore dell’allevamento nel mantenimento del paesaggio che essi vengono a visitare e ammirare».

La foto in copertina è opera di Piero Castellano. L’articolo è stato inizialmente pubblicato su L’Altramontagna

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