domenica , 8 Settembre 2024

5000 chilometri in bici per indagare le identità dell’Appennino: la storia di Salvatore Capasso

«L’anima appenninica ha una matrice comune? Quali sono gli elementi che compongono il prisma sfaccettato e variegato di questa dorsale rugosa che percorre tutta la nostra penisola? È una domanda che mi sono sempre fatto, e che ho deciso ora di provare a indagare direttamente sui territori». A parlare è Salvatore Capasso, 67 anni, originario del Matese e nelle gambe e nell’animo la spinta dell’esploratore e dello studioso dei territori. Fino a pochi anni fa banchiere di un piccolo istituto di credito delle aree interne beneventane e da sempre speleologo, camminatore e ciclista (ma anche appassionato di mongolfiere e di canyoning) per passione, Salvatore Capasso è partito lo scorso 7 maggio con “Di buon passo”, un progetto di esplorazione in solitaria delle aree interne appenniniche, dalle Madonie siciliane alle Langhe piemontesi, per osservare queste terre di progressivo spopolamento ma anche per raccogliere storie, testimonianze ed esempi delle “terre che resistono”, nonostante tutto, provando al contempo a rispondere a un quesito: l’Appennino ha una matrice identitaria comune? Se sì, qual è? Cosa accomuna le genti che abitano questa dorsale inquieta, e come recuperare uno sguardo attivo su questi territori, una visione che vada oltre l’urbanocentrismo imperante in Italia oggigiorno?

[Questo articolo è stato pubblicato su L’Altramontagna il 6 luglio 2024]

Dalle Madonie alle Langhe

«Credo che nel progetto abbia avuto un ruolo fondamentale il lavoro che ho fatto per tutta la vita» racconta Salvatore, che quando lo sento al telefono si trova in provincia di Potenza e sta esplorando l’entroterra lucano tra storie di utopie borboniche e slanci imprenditoriali giovanili. «Per quarantasei anni ho gestito una piccola banca di paese, e quindi toccato con mano e interpretato quotidianamente la realtà economica di un piccolo paese dell’Appennino. Questo mi ha permesso di avere uno sguardo interno, vissuto, sui territori che ora mi propongo di indagare». Il nocciolo del progetto “Di buon passo” è sbocciato in Salvatore circa tre anni fa, quando la banca è stata ceduta e lui si è trovato a interrogarsi su cosa fare ora del proprio tempo.

«Di giri in bicicletta ne avevo sempre fatti, ma ero stufo di essere un semplice turista. Allora mi sono detto: perché non unire la mia esperienza ultraquarantennale nei contesti interni appenninici con la mia passione per l’esplorazione a due ruote? Perché non provare a indagare, in sella alla bicicletta, questi territori che ho visto spopolarsi, queste rugosità diversissime e fertili di storie, di iniziative, di realtà locali di valore?».

Detto fatto: nel giro di due anni Salvatore aveva delineato un itinerario possibile, circa cinquemila chilometri da percorrere in bici dalle Madonie siciliane alle Langhe, con tappa ultima il paese di Cesare Pavese, in un percorso che andrà sviluppandosi tra la primavera-estate del 2024 e i prossimi mesi e che ha suddiviso in due tronconi principali.

Il primo pezzo del percorso è andato infatti a coprire i rilievi della Sicilia (Madonie, Nebrodi e Peloritani) e della Calabria (Aspromonte, Serre, Sila Piccola, Sila Grande e Pollino), l’Appennino Lucano e le aree interne campane (Picentini, Cilento, Alta Irpinia, Taburno e Matese), chiudendosi proprio in questi giorni a Piedimonte Matese. Il secondo troncone, invece, toccherà l’alto Molise, l’Appennino Abruzzese e quello Umbro-Marchigiano, l’entroterra della Toscana e dell’Emilia Romagna e si chiuderà con l’Appennino Ligure e le Alte Langhe. «Non ho scelto il tracciato “migliore” per la bicicletta» spiega ancora Salvatore «Ho deciso invece di seguire le storie, di immaginare un percorso che mi portasse laddove ci sono realtà interessanti da raccontare».

Un viaggio, quello di Salvatore, che è sì individuale, ma che ha il supporto morale di numerose associazioni e realtà attive nell’ambito delle aree interne e della valorizzazione del territorio appenninico (quattordici in totale), tra cui la Società Geografica Italiana, Fondazione Appennino, Fondazione Nuto Revelli, Riabitare l’Italia e la Scuola del Viaggio.

Identità appenninica

Ma quali sono i fili che compongono la folta treccia dell’identità appenninica? Quali sono i temi che accompagnano Salvatore nelle sue pedalate in queste aree interne troppo spesso dimenticate? «Ho riempito quasi due pagine di aspetti che accomunano questi territori, che pure sono diversissimi tra loro» racconta Salvatore Capasso.

«Un esempio su tutti? La figura simbolica e mitologica di Demetra, connessa ai riti pagani di rinascita della terra sincretizzati all’interno di numerosissimi riti cristiani. L’abbondanza, il pane, la terra: questa è una matrice appenninica che percorre tutti i territori incontrati finora, talvolta in modo più evidente, altre volte più nascosta. Poi, le tematiche sociologiche, come il ritorno degli emigrati ai propri paesi d’origine durante il mese di agosto, che racconta di territori ambivalenti, abbandonati ma sempre anelati. E ancora, il tema della transumanza appenninica, così diversa da quella alpina. Non so ancora come si svilupperà il seguito di questo lavoro di esplorazione» ammette Salvatore «Intanto raccolgo le storie e le voci, poi vedremo che forma assumeranno».

Tra le voci che stanno molto a cuore a Salvatore all’interno di “Di buon passo”, si sono sia quelle dei sindaci e degli amministratori locali, sia quelle dei giovani che scelgono di tornare (o di restare) a fare impresa sul proprio territorio, creando lavoro e prospettive. «Sono storie di inventiva, di coraggio, di lungimiranza» spiega Salvatore «Perché si prendono cura dei luoghi, creano occupazione, costruiscono strade nuove mettendo a frutto la propria identità. Nel cosentino, tanto per farti un esempio, ho conosciuto River Tribe, una bellissima realtà di rafting sul fiume Lao e attività outdoor nel Pollino che dà lavoro a circa 35 persone e valorizza il territorio con un occhio di riguardo a un turismo attento e sostenibile. Ma ce ne sono infinite, di storie simili».

Bicicletta come mezzo indagatore del territorio

La scelta della bicicletta, per Salvatore, non è stata casuale, e non solo perché egli aveva già alle spalle numerose esperienze di cicloviaggio. «Le due ruote offrono una possibilità interessantissima e inedita per avvicinarsi ai territori interni» racconta «Da un lato, nei paesi c’è molta empatia e affezione per chi arriva in bicicletta: ti vedono arrivare stanco, sudato, con le borse legate dietro, ed è naturale trovare incontro, scambio, umanità. È una cosa molto bella».

Ma il valore della bicicletta in questo viaggio di indagine è anche un altro: «La bici è un vero e proprio mezzo di ricerca. Percorrendo queste salite e queste discese e mettendo nelle gambe la fatica di entrare nel paesaggio permette di toccare con mano e vivere in prima persona la rugosità che è la cifra distintiva del territorio appenninico. Ne diventi parte, e solo così la puoi capire».

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