Cercare nuovi modi per promuovere il territorio, nella consapevolezza che il mondo del turismo – e così anche quello montano – sta cambiando, e che è sempre più necessario creare delle nuove intersezioni: ma quale turismo, e in che modo gestirlo senza trovarsi a subirlo? E ancora, è possibile costruire strade alternative, una “terza via” sostenibile tra il marketing sfrenato e lo zero assoluto, tra la montagna svenduta e quella compresa? Se lo sono chieste Vea Carpi, Debora Muhlbacher e Paola Barducci, amiche e professioniste in settori diversi tra loro ma accomunate da un desiderio condiviso: quello cioè di raccontare il proprio territorio – la Valle dei Mocheni trentina – in modo diverso, sostenibile, consapevole delle complessità del vivere le terre alte così come della necessità di mediare con chi arriva da fuori. «È fondamentale trovare un punto di mezzo tra il turismo di massa e l’abbandono» spiega Vea «Farlo significa interrogarsi su cos’è la montagna oggi, su cosa significhi davvero viverci e lavorarci, su che tipo di turismo si vuole e quale possono sostenere i territori senza cambiare volto. È necessario raccontarsi e raccontare fuori dagli stereotipi, mostrare una montagna reale, aiutare chi arriva a capirla. Non solo a fotografarla».
[Questo articolo è stato pubblicato su L’Altramontagna il 07 aprile 2024]
Valle dei Mocheni, il Trentino meno conosciuto
Piccola valle laterale della Valsugana, la Valle dei Mocheni – il cui nome nome originario è Valle del Fèrsina, o Bernstol in lingua mochena – è un’area del Trentino ancora poco conosciuta a livello turistico: sita nei pressi di Trento, fino agli anni Ottanta è stata battuta soprattutto per l’aspetto termale e frequentata principalmente dai trentini stessi.
La denominazione di appartenenza fa capo alla minoranza linguistica mochena di matrice tedesca che vive su tre dei quattro comuni che compongono la valle, e che insieme al ladino e al cimbro appartiene alle minoranze linguistiche della provincia di Trento. «Questa valle, piccola e di accesso meno facile rispetto ad altre valli del territorio, è sempre stata frequentata soprattutto da un tipo di turismo domestico, dagli abitanti della città di Trento che vengono a fare giri in montagna» racconta Paola. «Di grandi masse, qui, non se ne vedono». Debora ride: «Già, e se abitassimo in valli più note, forse non avremmo bisogno di trovare modi alternativi per promuoverci!».
Storie diverse, un unico amore per la propria valle
Le storie di Vea, Paola e Debora si intrecciano attorno alla Valle dei Mocheni in maniera diversa e da percorsi diversi. Debora Muhlbacher, ad esempio, è originaria del territorio e gestisce insieme al marito una piccola azienda zootecnica e caseificio, il Mas La Grisota, dove producono formaggi locali a partire dal latte delle loro tredici vacche grigio alpine. «Siamo partiti da zero» racconta Debora «Io inizialmente facevo la geometra e per mio marito la zootecnia era una passione prima che un lavoro: ma alla fine abbiamo entrambi deciso di dedicarci full time a questa attività. Passo dopo passo, e con enormi sacrifici, stiamo realizzando quello che era il nostro sogno iniziale: un piccolo maso con la casa, la stalla e il caseificio, tutto vicino». Un sogno che, specifica Debora, affonda le radici in un contesto – quello trentino – che per certi aspetti è “isola felice” rispetto ad altre zone perché mantiene un 70% di proprietà pubbliche in fascia montana e le gestisce con strutturati piano di gestione forestale decennali, ma che al contempo affronta anche i problemi comuni di altre aree montane. A cominciare dall’estremo frazionamento del territorio privato, che ne rende difficile la gestione per chi cerca di costruirsi un reddito. «In Trentino non è stata mantenuta l’istituzione del “maso chiuso” come in Alto Adige» spiega Debora «Il risultato è un territorio parcellizzato e frammentato. Noi con la nostra attività ce ne prendiamo cura con sfalci e recupero di zone per riportarle a prato. Per farti un esempio, sfalciamo in totale diciotto ettari: tre sono di nostra proprietà, mentre per gli altri ho 40 pagine di particelle catastali da gestire con contratti di comodato o affitto. Un caos».
Anche Vea Carpi gestisce un piccolo maso familiare in Valle dei Mocheni, il Mas del Saro: in Trentino, però, lei ci è finita per amore e non per radici, che invece sono toscane. Le radici locali, semmai, le ha costruite negli anni insieme al marito, con cui nel 2001 ha acquistato un maso sul territorio, trasferendovisi l’anno successivo. «Inizialmente quella è stata semplicemente la nostra casa con giardino, perché entrambi lavoravamo a Trento ma volevamo stare un po’ isolati, non ci piaceva il caos» racconta Vea «Poi, quando sono nati i figli, è partito per me il desiderio di riportare questo posto a ciò che era una volta, cioè appunto un maso, una piccola azienda agricola multifunzionale. Non è stato facile, né veloce». Il Mas del Saro ha preso il via a piccoli passi, acquistando dapprima un paio di terreni adiacenti alla struttura e prendendo alcune particelle in comodato d’uso: ora coltivano orticoli, piccoli frutti, un po’ di frutta e allevano qualche animale, pecore e galline soprattutto. «Il vero grande passo è stato però nel 2016, quando abbiamo aperto lo spazio ristorazione» racconta ancora Vea. «È un luogo piccolissimo, con cinque tavolini: i mi occupo della cucina, mio marito segue la sala e i figli a volte ci danno una mano».
Con Vea, Paola Barducci condivide sia le origini “forestiere” sia il fatto di essere finita in Trentino un po’ per caso: laureata in scienze forestali a Firenze, per il tirocinio pre-laurea viene infatti indirizzata dal professore verso la Magnifica Comunità della Val di Fiemme, vicinia di territorio che si occupa della gestione forestale in quest’area. «Con mio marito, anch’egli dottore forestale, abbiamo deciso di salire per il tirocinio» spiega Paola. «E poi siamo rimasti. Per lavoro abbiamo girato tanto sul territorio trentino, e quando siamo capitati in valle dei Mocheni ci è subito piaciuta. All’epoca non lavoravo ancora come accompagnatrice di media montagna… Se l’avessi fatto, probabilmente avremmo scelto di stanziarci in territori più turisticamente battuti, chissà».
Quale turismo per questa valle?
Paola, Vea e Debora da qualche tempo hanno iniziato a collaborare, a lavorare per la promozione del territorio non solo come singole attività e professioniste, ma anche come team in grado di offrire uno sguardo realistico sulla valle, sulle sue attrattive e sulle sue peculiarità. Perché, spiegano, per poter continuare a lavorare e vivere in montagna è fondamentale interfacciarsi anche con il mondo del turismo: ma quale turismo e quale turista, e in che modo relazionarcisi senza esserne sopraffatti o snaturati?
«Partiamo dal presupposto che qui, in valle dei Mocheni, la situazione è molto diversa da altre zone del Trentino» spiega Paola «Essendo una valle di sua natura poco turisticizzata, con servizi ridotti, chi arriva qui non è certo il turista che cerca l’intrattenimento da family hotel: è invece soprattutto un turista attento al territorio, interessato all’ambiente, un turista che cerca passeggiate nei boschi e sentieri, che apprezza di vedere le vacche al pascolo e che non vuole necessariamente il “parco giochi”. Questo è un bene, ma è anche una sfida, perché significa immaginare e costruire i modi giusti per raccontare il territorio, per farlo conoscere alle persone giuste, per spiegarlo nelle sue complessità».
Secondo Vea, nell’interfacciarsi con il variegato ed esigente mondo del turismo attuale il problema di fondo sta nel fatto che la maggior parte della gente che viaggia e che giunge sui territori montani per le vacanze è gente di città, talmente staccata dal mondo rurale e alpino da aspettarsi che tutto – esperienze e intrattenimento dei figli compresi – sia sempre impacchettato e preparato ad hoc per loro. «Questo territorio non ha strutture ricettive importanti, ci sono pochissimi alberghetti e B&B, la maggior parte delle possibilità di alloggio è costituita dall’affitto settimanale della baita» spiega «Va da sé che il turista che capita qui deve essere un turista in grado di gestirsi. Non è necessariamente un male, perché per noi significa destagionalizzare, ma capita che i turisti arrivino qui e trovino meno di quanto sono abituati ad aspettarsi. E se da un lato sono felice di vivere in una valle che non vive di stagionalità, dall’altra mi rendo conto che, oggi, il turismo è ciò che sostiene il comparto agricolo. È il turismo ciò che porta soldi sui territori e fa restare le persone a vivere in valle. Dobbiamo fare i conti con questa cosa».
Vivere in montagna, una scelta sempre più impegnativa
Per Debora, che tocca quotidianamente con mano le problematiche legate all’ambito agricolo, la situazione per il futuro in questo settore è poco rosea: «Qui da noi oggi ci sono pochissimi giovani contadini: e allora come si fa a mantenere un territorio? Bastano pochi anni di abbandono perché i prati curatissimi che fanno da cartolina al Trentino spariscano, mangiati dal bosco. La nostra valle si sta già inselvatichendo moltissimo». Il cuore del discorso, per Debora, è quello che riguarda la sostenibilità economica del tornare in montagna: «Si parla tanto di ritorno nelle terre alte, ma si dice assai poco sul fatto che questo ritorno debba essere economicamente sostenibile. Ad esempio, questo nostro territorio non è fatto per accogliere stalle con centinaia di capi: per sua conformazione possiamo gestire solo piccoli allevamenti. Ma, giusto per farti un esempio, come si campa con poche decine di animali, se ti viene pagato il latte 0,50 € al litro? Può funzionare forse solo per chi alleva come hobby, mantenendo altri lavori più remunerativi, oppure per chi non ha figli e vive ancora in famiglia. Che però è una cosa diversa dal mettere in piedi un’azienda e farla rendere…».
Molti settori, spiega Paola, in montagna vanno avanti grazie agli aiuti europei, come l’agricoltura e la selvicoltura: se tuttavia i contributi dovessero cessare, come si fa? «È vero che i finanziamenti si portano appresso una carica burocratica fuori misura» ammette «Ma è anche vero che sono stati determinanti per moltissime attività, e per molta gente che è così potuta restare in montagna… Questo è un punto da affrontare. Come tutti i discorsi sul vivere e lavorare in montagna, non lo si può fare polarizzando le posizioni, ma cercando una mediazione, un punto d’incontro tra istanze diverse».
Promozione social delle terre alte: la difficoltà di raccontarsi
La difficoltà principale che tutte e tre, ciascuna nel proprio settore, hanno incontrato è stata quella di capire come raccontarsi. E se il racconto social oggigiorno è funzionale alla riuscita dell’attività, al tempo stesso si lavora sempre in bilico sulle domande “Quanto raccontare? Come farlo? Quale punto di equilibrio trovare?”. «È difficile raccontarsi in maniera autentica» ammette Debora «Mi sembra a volte di dover raccontare sui social cose basilari per attirare la massa, ovvietà al servizio di chi non conosce il settore… Che è interessante, certo, ma per me autenticità significa anche mostrare cose “poco instagrammabili”, come la nascita di un vitello, e questo non sempre piace… Però fa parte del mio lavoro, perché non dovrei raccontarlo?».
«Per me promuoversi facendo un racconto vero e realistico del territorio è molto più difficile che limitarsi a schiaffare online una foto “wow”» spiega Paola. «Però è un valore aggiunto, perché chi poi arriva sul territorio e trova le cose davvero come gliele hai mostrate è soddisfatto, non si sente preso in giro».
Secondo Vea, è importante uscire dagli stereotipi forzati: «La sfida è stare in equilibrio tra un racconto che attiri le persone – perché dopotutto ho un’attività di ristorazione, ho bisogno che la gente mi trovi – e un racconto realistico. Mi dà fastidio» ammette «quando cercano di appiopparmi l’etichetta del “cambio vita”, perché è come se si aspettassero un certo tipo di racconto, una narrazione idilliaca. E invece no, non è tutto rose e fiori: certo, nessuna di noi farebbe questa vita se non ci piacesse, ma è importante non mistificare i piani. La realtà è sempre molto più dura del racconto che se ne fa sui social, e questo il turista lo deve capire. È importante che lo faccia ed è importante che noi non glielo nascondiamo, perché solo così si possono creare i presupposti perché il turismo sano sia una risorsa e non un problema».